Bryan Ferry, in 37 minuti e 41 secondi, riesce a trasportare l’ascoltatore nell’epoca della genesi del jazz, nella colorata e festosa New Orleans animata dal ritmo sincopato del ragtime e del più recente dixieland.
The Jazz Age, datato 2012, è un album squisitamente vintage, dal suono graffiato e antico che ricorda con un sorriso i piccoli locali fumosi in cui, negli anni ’20, si faceva musica. E che musica.
Il jazz, alle origini, è improvvisazione: pochi strumenti - il piano che accompagna con un motivo ripetuto le frasi della tromba, alle quali rispondono a loro volta voci secondarie, trombone o basso tuba, sezione ritmica governata da batteria e, talvolta, contrabbasso. Saranno poi artisti come il celeberrimo Louis Armstrong, figlio di schiavi e cresciuto nella pittoresca New Orleans, a fare dell’improvvisazione la propria impronta stilistica.
E così il jazz, colonna portante della musica odierna, negli anni ha conosciuto più evoluzioni di qualsiasi altro genere musicale: dai motivi allegri e ballerecci del jazz della Louisiana, alle sfumature più blues degli anni successivi, al jazz bianco di Gil Evans e delle big band, che giocano sui dialoghi tra strumenti e sulla complessa struttura del brano, a John Coltrane, alla chitarra canterina di Django Reinhardt, fino ad arrivare ai giorni nostri.
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